Presentazione alla stampa e al pubblico giovedì 27 luglio 2023, ore 12.00 Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli

Filippino Lippi (Prato, 1457 ca. – Firenze, 1504) Annunciazione con i santi Giovanni Battista e Andrea, 1470-75 ca. tempera su tavola, inv. Q 42 Torna esposta nelle sale del Museo e Real Bosco di Capodimonte, dopo un accurato restauro, l’Annunciazione con i santi Giovanni Battista e Andrea di Filippino Lippi. L’opera, una tempera

su tavola datata 1470-75 ca., è stata restaurata grazie al sostegno dell’azienda Temi Spa che ha utilizzato le agevolazioni fiscali dell’Art Bonus. La stessa azienda aveva già sostenuto il Museo il restauro di un’altra opera, il Ritratto dell’infante Francesco I di Borbone di Elisabeth Vigée Le Brun, nell’ambito del progetto “Rivelazioni- Finance for Fine Art” portato avanti nel 2018 da Borsa Italiana in collaborazione con l’Advisory Board del Museo e Real Bosco di Capodimonte, progetto nel quale si inserisce anche il restauro del Filippino Lippi completando un’operazione di successo che coinvolto ben otto importanti dipinti del Museo, come l’Adorazione dei Pastori di Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, la Natività di Luca Signorelli, La Cantatrice di Bernardo Cavallino e Adorazione del Bambino di Michelangelo Anselmi, il Paesaggio con la Ninfa Egeria di Claude Lorrain, il Ritratto dell’infante Francesco di Borbone di Elisabeth Vigée Le Brun e il Ritratto di Pier Luigi Farnese di Tiziano. Restauri resi possibili grazie ad aziende campane aderenti al progetto ELITE, il programma internazionale di Borsa Italiana nato nel 2012 in collaborazione con Confindustria dedicato alle imprese con un alto potenziale di crescita: la D&D Italia Spa di Sabato D’Amico, la Protom di Fabio De Felice, la Cartesar di Fulvio De Iuliis, la Epm di Carmine Esposito, la Pasell di Salvatore Amitrano, la Graded di Vito Grassi, la Tecno srl di Giovanni Lombardi e la Caronte Spa di Gennaro Matacena. L’Annunciazione di Filippino Lippi è stata restaurata da Bruno Arciprete, sotto la direzione lavori di Angela Cerasuolo, responsabile del Dipartimento restauro del Museo e Real Bosco di Capodimonte con indagini condotte da Beatrice De Ruggieri, Matteo Positano, Marco Cardinali (Emmebi Diagnostica Artistica) e Claudio Falcucci. L’artista Filippino Lippi nasce a Prato dall’unione illegittima tra il celebre pittore e frate carmelitano Filippo Lippi e la monaca agostiniana Lucrezia Buti, figlia di un mercante fiorentino. Avviato prestissimo alla pittura, è già registrato fra i ‘garzoni’ della bottega paterna nel cantiere del Duomo di Spoleto, dove Filippo si reca nel 1467 e trova la morte due anni dopo. Filippino continua quindi a condurre la sua attività inizialmente a fianco di Fra Diamante, principale collaboratore del padre. Da questi si discosta però entro il 1472, anno in cui è registrato nella bottega di Sandro Botticelli, già con una certa autonomia e non esattamente come suo allievo. Gli studi più recenti stanno ricostruendo l’attività dei primissimi anni di Filippino presupponendo questo precocissimo apprendistato presso il padre, e quindi “l’avvio del percorso artistico del Lippi, parallelo e non in esclusiva dipendenza da quello di Botticelli” (E. Parlato).

L’opera

L’Annunciazione di Capodimonte è un importante testimonianza di questa fase iniziale del giovane maestro. Possiamo ipotizzare infatti una datazione veramente molto precoce per il nostro dipinto, alla luce di quanto il restauro ci ha consentito di comprendere sulla sua esecuzione, caratterizzata da modifiche, aggiustamenti, esitazioni nel passaggio dal disegno iniziale alla stesura pittorica, che si è rivelata in tutto il suo nitore, preziosa e delicata ma non sempre salda. Anche il confronto con altre opere riferite all’attività di Filippino in questi primissimi anni – per esempio l’Annunciazione delle Gallerie dell’Accademia di Firenze – sembra confortare questa ipotesi. Nella stessa direzione ci hanno indirizzato altri studi recenti che hanno consentito di rendere meno oscura la provenienza dell’opera, giunta a Napoli nel 1800 nell’ambito dei ‘prelievi’ effettuati dall’emissario borbonico Domenico Venuti a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi fra le opere lì abbandonate dalle truppe napoleoniche in fuga.

L’ipotesi della provenienza dalla collezione dell’emiliano Alfonso Tacoli-Canacci avanzata in base alla descrizione dell’inventario del 1790-92 (Buonocore), ha avuto una precisa conferma nel corso dell’attuale restauro, che ha offerto l’occasione per verificare l’originaria scritta apposta su un cartellino ora frammentario, ma ben leggibile nella foto di documentazione di prima del restauro ICR (1957) che abbiamo recuperato. L’esecuzione ai primi anni ’70 è stata proposta anche nella ricostruzione fondata su importanti riscontri documentari (Gardner von Teuffel), in base ai quali appare del tutto probabile l’originaria provenienza dalla chiesa fiorentina di San Lorenzo, la stessa per cui era stata realizzata l’Annunciazione Martelli, una delle opere più celebrate di Filippo

Una commissione inizialmente affidata a Fra Filippo dalla famiglia della Stufa per la loro cappella dedicata a Sant’Andrea, sarebbe, secondo l’ipotesi della studiosa, passata poi al figlio. L’opera acerba ma preziosa di Filippino, identificabile con la ‘tavola’ registrata nel 1507 nella cappella, risultava già rimossa e sostituita nella seconda metà del ‘500. Attraverso chissà quali altri passaggi sarebbe poi finita nella collezione Canacci.

Il restauro ha restituito al dipinto tutto il nitore dei colori tersi e armoniosi, rendendo meglio leggibile il ductus elegante a punta di pennello con cui sono costruiti i panneggi, i lineamenti delicati dei protagonisti, il cielo luminoso che splende dietro la veduta della città di Firenze, eseguita con la stessa precisione elegante con cui sono realizzati i dettagli decorativi delle vesti e i fiori dello splendido giardino.

Nella veduta sono ben riconoscibili la torre di Palazzo Vecchio, la cupola di Santa Maria del Fiore col campanile di Giotto, il Bargello, il campanile della Badia fiorentina. Due misteriose figurine minuziosamente delineate si stagliano nella lontananza, dietro il giglio sorretto dall’Angelo in primo piano. Un’opera preziosa e commovente, che il restauro ha finalmente restituito all’esposizione, migliorandone la stabilità e consentendo di tornarne ad apprezzare tutte le finezze.

Il Restauro

Gli interventi precedenti Una prima notizia risale al gennaio 1822, quando viene dato a Raffaele Trapani il compito di “rincollargli le tre tavolette che presentano il quadro e fortificarle dal di dietro con pezzi di legno” (ASMAN, XXI B7, 13). È questo probabilmente l’intervento testimoniato dalla foto realizzata prima del restauro nel 1957, quando Bruno Molajoli affida l’opera alle cure dell’Istituto Centrale del Restauro.

Nella foto si vedono tre traverse di sostegno fisse e grossolane ‘farfalle’ inserite controfibra per giuntare le assi che possiamo far risalire al restauro di Trapani. Si osserva anche un telaio perimetrale – applicato al supporto assottigliandolo in corrispondenza per livellare le superfici di appoggio – da far risalire forse a un restauro ancora precedente. Fori da insetti xilofagi con stuccature stese per colmarle e per risarcire alla meno peggio le assi disgiunte testimoniano le condizioni critiche in cui si trovava l’opera, che nelle altre foto di documentazione dell’archivio ICR si desume molto compromessa da vernici e ridipinture anche nella superficie pittorica.

L’intervento realizzato sul supporto presso l’ICR, allora diretto da Cesare Brandi, era per l’epoca molto innovativo e si basava sugli studi che andava conducendo presso l’Istituto Roberto Carità. Il sistema era improntato all’esigenza di alleggerire il più possibile la nuova struttura di sostegno da applicare, utilizzando ponticelli in legno incollati al supporto e traverse in alluminio. In quella occasione la superficie del supporto era stata assottigliata per renderne il livello uniforme e consentire l’applicazione degli elementi metallici perfettamente piani. Anche questa struttura si è rivelata col tempo poco idonea a garantire stabilità al supporto, poiché risultava sempre troppo rigida e vincolante, contrastando così i naturali movimenti del legno in seguito alle variazioni di temperatura e umidità. Dopo il restauro del supporto, nel 1957 l’opera era stata restituita dall’ICR al museo senza provvedere a un intervento sulla superficie pittorica. La decisione molto probabilmente era conseguente alla necessità di esporre il dipinto di Filippino fra i capolavori della pinacoteca nell’inaugurazione del nuovo museo di Capodimonte il 5 maggio 1957. Nell’archivio ICR è infatti conservata una lettera di Brandi a Molajoli datata 26 aprile 1957, con cui il direttore dell’Istituto riconsegna il dipinto “molto a malincuore” e si mostra preoccupato delle condizioni poco presentabili in cui si trova l’opera, la cui superficie “si presenta ora con le commettiture allo scoperto, dato che per raddrizzare la tavola bisognava liberarla dagli stucchi e dai rinzaffi”. Chiede pertanto di “fare eseguire subito a Angelini delle stuccature provvisorie campite in tinta neutra, ma in modo che risulti chiaro per tutti che il restauro è ancora in corso”. Qualche anno dopo, l’intervento sulla superficie pittorica – pulitura generale, rimozione delle vecchie vernici e dei restauri alterati, stuccatura e integrazione pittorica – sarebbe stato affidato a Ruggero Nannicini, che lo avrebbe realizzato entro il 1965 (Archivio Storico Capodimonte). L’intervento è testimoniato anche dalla ricca documentazione fotografica dell’epoca conservata nella fototeca di Sant’Elmo.